RIVISTA DI FRUTTICOLTURA. L’agrumicoltura italiana rischia di rimanere indietro.

Pur nella difficoltà di superare le criticità strutturali, alcune peculiarità dell’agrumicoltura italiana, se ben interpretate e tradotte in azioni pratiche, possono di certo contribuire a dar maggior serenità e prospettive di sviluppo. Il rischio altrimenti è di diventare sempre più marginali all’interno del mercato globale.

 

A campagna ancora in corso, anche nel 2021 emergono puntualmente le problematiche di un settore che da sempre vive una situazione di difficoltà e crisi, che reclama misure straordinarie di sostegno che sono ormai strutturali, ma che non riescono a far emergere una volta per tutte l’agrumicoltura italiana fuori dalla palude nella quale è impantanata da oltre mezzo secolo.

L’Editoriale di rivista di Frutticoltura n.9/2021

Mali comuni: clima, danni fitosanitari e polverizzazione produttiva

Il 2021 sarà ricordato per i danni climatici che sono iniziati con le gelate di aprile, i venti caldi di maggio proseguiti con il periodo siccitoso estivo e, da ultimo, con le distruttive alluvioni delle aree agrumicole di pregio siciliane. Il risultato è un’insufficiente produzione di frutti di buona qualità, specialmente per le arance, o scarsa come nel caso delle clementine per la cascola dei frutti post allegagione.

La composizione strutturale della nostra agrumicoltura (Ismea 2019) indica che si sviluppa su 130.000 ha circa con 62.000 aziende, una superficie media di 2,5 ha/azienda ed un valore della produzione che nel 2018 è stata censita essere 925 milioni di euro, l’1,8% dell’intero valore della produzione agricola nazionale. Il valore del prodotto trasformato è 0,7% su un totale nazionale di 995 milioni di euro.

L’Italia figura al 13° posto nel ranking dei paesi agrumicoli esportatori con un valore di circa 240 milioni di euro per arance, clementine e limoni. È invece all’11° posto tra i paesi importatori con un valore che in alcuni anni supera i 400 milioni di euro. Il deficit commerciale si aggira intorno a 150 milioni di euro/anno.

Questi pochi dati sono già sufficienti a individuare alcuni aspetti negativi del comparto nazionale che sono la polverizzazione produttiva, associata ad una scarsa aggregazione dell’offerta. Il quadro delle criticità è completato dall’insufficiente ricorso all’innovazione tecnica, al breve calendario di produzione ed offerta per clementine e mandarini, alle emergenze fitosanitarie insediate (tristezza) e di futura possibile introduzione – greening (HLB), black spot (Phyllosticta citricarpa), ai costi della manodopera ed alle problematiche sociali connesse.

Aspetti positivi dell’agrumicoltura su cui lavorare

Gli aspetti positivi che caratterizzano il comparto nazionale meritevoli di essere segnalati si riferiscono ad una vocazionalità dei territori legata ad una tipicità delle produzioni, una buona offerta di prodotti bio, un ampio calendario di produzione ed offerta per arance e limoni.

La ricerca italiana per prima ha proposto gli ibridi triploidi di clementine e mandarino-simili, con varietà che meritano una più attenta gestione agronomica per esaltare le loro caratteristiche intrinseche. Grande è il lavoro di selezione, risanamento e conservazione in sanità di cloni di arance pigmentate, che costituiscono un fiore all’occhiello della produzione nazionale. Una promozione adeguata verso i mercati esteri per promuovere gli aspetti nutraceutici propri delle arance pigmentate, risulterebbe di grande supporto.

Territorio, produzione e turismo possono costituire una chiave di lettura per avviare azioni mirate a meglio segmentare la produzione nazionale nel panorama dell’offerta internazionale, nella consapevolezza della debolezza del settore a competere con i grandi bacini di produzione ed export (Spagna, Sudafrica, Turchia, Egitto, Marocco, Argentina ecc.), che oltre a poter contare su strutture produttive efficienti, godono anche di una rete logistica in grado di veicolare con tempestività le produzioni. Altro problema che merita un’attenzione da parte dell’amministrazione pubblica è quella di favorire accordi internazionali in grado di abbattere le barriere fitosanitarie all’export. In questo caso si scontano ritardi che non permettono l’ampliamento dei mercati di destinazione.

Da parte degli agrumicoltori, pur se ci sono segnali incoraggianti negli ultimi anni, con la quasi totale riconversione verso i portinnesti trifogliati meno suscettibili alla tristezza, deve essere posta maggior attenzione per una scelta varietale orientata verso varietà che permettano di ampliare il calendario di offerta, optando per quelle che decongestionano i periodi di maggior calo dei prezzi che coincidono con la presenza sul mercato di Clementine Comune e di Navelina con i suoi diversi cloni. In questo, tecnici esperti di campo risultano essere uno strumento indispensabile per accompagnare le aziende all’utilizzo razionale dell’innovazione e permettere di essere più competitive.

Valorizzare le peculiarità e fare sistema

In sintesi, pur nella difficoltà di superare le criticità strutturali dell’agrumicoltura italiana, alcune sue peculiarità che la caratterizzano, se ben interpretate e tradotte in azioni pratiche, possono di certo contribuire a dar maggior serenità e prospettive di sviluppo. Fare sistema, ognuno per le proprie competenze e compiti assegnati nell’ambito della filiera, rappresenta l’unico schema adottabile per rilanciare l’agrumicoltura nazionale, pena il divenire sempre più marginali in un mercato globale che vede l’Olanda al 6° posto tra i paesi esportatori.

 

Autore: Luigi Catalano

Data di pubblicazione: 19/11/2021