Considerazioni sulla stagione peschicola 2022

Sta terminando la stagione di pesche e nettarine 2022, contraddistinta da una serie di eventi che finiranno per condizionare inevitabilmente la loro coltivazione nel nostro paese.

 

La necessità di un differente approccio che premi la qualità nel rispetto del consumatore.

Non è questa la sede per l’analisi dei dati forniti da diversi osservatori specializzati nella loro rilevazione, ma le dovute considerazioni che se ne dovrebbero trarre, risultano fondamentali per adottare le future strategie per permettere al settore di vivere con maggior tranquillità.

Pur se i quantitativi della corrente stagione sono stai superiori rispetto al biennio precedente caratterizzato dalle gelate primaverili, essi segnano una diminuzione di oltre il 15% rispetto al quinquennio 2015/19, a testimoniare la generalizzata contrazione della loro coltivazione in Italia. In questo quadro fa eccezione le Puglia dove, in controtendenza sul dato nazionale, la coltivazione di pesche e nettarine – specialmente quest’ultime, segna un incremento ben evidente nei territori di San Ferdinando, Trinitapoli, Cerignola, Barletta e Canosa di Puglia, che da anni sfugge però alle rilevazioni ufficiali, ma che è visibilmente ben evidente girando per questi territori.

Se i dati produttivi mostrano quantitativi tali da non determinare un surplus produttivo, quelli riferiti ai frutti, ad eccezione di poche eccellenze, indicano una pezzatura generalmente inferiore rispetto alle precedenti annate a beneficio però delle qualità organolettiche ed il grado zuccherino che sono stati nettamente più elevate.

Qualità non promossa

Questo ha determinato un ridotto apprezzamento dei frutti da parte della GDO, con quotazioni non soddisfacenti per gli agricoltori, gli unici imprenditori che non decidono il prezzo di vendita del proprio prodotto!!

I frutti di piccola pezzatura non son esclusivamente il risultato della siccità e del gran caldo, delle difficoltà a reperire la manodopera per il diradamento nei tempi giusti o di uno scarso apporto di fertilizzanti per il loro costo schizzato alle stelle.

Essi sono anche la risposta della pianta ai decorsi climatici post fioritura, che quest’anno sono stati caratterizzati da basse T° proprio nel periodo fenologico della moltiplicazione ed avvio della distensione cellulare dei frutticini appena allegati. Non basta poi allagare i campi per metter rimedio a ciò.

I consumatori andrebbero educati su cosa avviene nei campi e la GDO dovrebbe accettare e tener presente che produrre frutta è un processo biologico influenzato dall’ambiente, non la produzione industriale di prodotti standardizzati.

Tutto ciò invece non avviene, con grande penalizzazione dei produttori.

Il solo parametro che invece viene considerato è la pezzatura dei frutti, raggiunta sì con pratiche agronomiche proprie – scelta del portinnesto più idoneo, corretta gestione della chioma, diradamento dei frutti impeccabile, reazionali fertirrigazioni e difesa – ma anche facendo ricorso e tal volta abuso ad eccessive somministrazione di input idrici e nutrizionali. (Guarda il video)

Non si tiene conto però che frutti così prodotti, molte volto stravolgono le caratteristiche gustative della varietà, risultano gonfi d’acqua e poveri di sostanza secca, più sensibili alle manipolazioni e meno serbevoli, oltre ad essere più suscettibili agli agenti biotici.

Un cambio di strategia nella gestione del pescheto

Oltre alle richiamate criticità derivanti da carenza personale, aumento costi energetici e dei fertilizzanti, bisogna tener presente e prepararsi a quelli che saranno in vincoli per i frutticoltori italiani dall’entrata in vigore del regolamento riguardante l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari e recante modifica del regolamento UE 2021/2115, in attuazione della strategia Farm to Fork. Essi prevedono un abbattimento draconiano del -62% dell’uso e del rischio di fitosanitari chimici e -54% per le sostanze attive pericolose per la difesa da agenti patogeni e parassiti, con il forte rischio di non avere strumenti per la protezione dei frutti.

Un assioma che va cambiato

Come fare ad assicurare un futuro meno burrascoso al comparto peschicolo?

Un aspetto importante è quello di “raccontare” il prodotto al consumatore, facendogli apprezzare i caratteri propri ed originali, senza eccessivi make-up. Più sostanza che apparenza, che significano poi anche genuinità e salubrità.

Non forzare oltre il dovuto le cure colturali per raggiungere pezzature dei frutti extra, non proprie delle caratteristiche genetiche della varietà, li esporrebbe a minor rischi fitosanitari.

Ma che cosa raccontare, considerato che la presenza di tre categorie commerciali (pesche, nettarine, percoche), le prime due a loro volta classificate in base alla polpa, gialla o bianca (senza considerare le pesche e le nettarine piatte), che non considera però la tipologia della polpa (fondente/croccante; a lenta e rapida evoluzione) e del sapore (acidulo o tradizionale/dolce o con bassa acidità – subacido)?

I dati di rilevazioni su basi statistiche eseguite negli scorsi anni sulle preferenze dei consumatori, indicano una netta preferenza verso le nettarine. Il 41% preferisce frutti zuccherini e succosi (croccanti o fondenti, ma sodi), il 32% frutti sub-acidi (croccanti o fondenti) e il 27% frutti aciduli e aromatici (fondenti e succosi); la polpa soda o croccante, a lenta evoluzione, è invece accettata da oltre il 70% dei consumatori.

Classificazione varietà di pesco in base all’acidità (Fonte: Carlo Fideghelli, già Direttore Istituto Sperimentale per la Frutticoltura – Roma).

Una riclassificazione del prodotto in relazione alle sue caratteristiche qualitative ed alla tipologia del frutto è quanto mai opportuna in considerazione alla vasta varietà di pesco e nettarine oggi disponibili. La segmentazione degli standard qualitativi può aiutare il consumatore al momento della scelta, oltre ad essere un valido supporto per i frutticoltori all’atto di impiantare un nuovo pescheto.

Una semplice proposta lanciata in passato, ma che oggi è ancora attuale, tiene in considerazione che le attuali indicazioni – pesca gialla o bianca, nettarina gialla o bianca, percoca, pesca piatta – sono categorie che non bastano per orientare il consumatore. L’indicazione del nome della varietà (la cui presenza sulla confezione è obbligatoria per regolamento commerciale) talvolta viene riportata più o meno volutamente in modo errato (anche con la presunzione di eludere le norme sulle privative vegetali!), orientandolo su quello della varietà̀ più̀ simile e diffusa di pari epoca.

Molto semplicemente, essa prevede:

1. Linea tradizionale (dolce acidula bilanciata o equilibrata).

2. Linea dolce a bassa acidità (con meno del 5-6‰ in acidi organici).

Per entrambe queste due linee si potrebbe ipotizzare anche un’ulteriore suddivisione per tipologia di colore, separando semplicemente le varietà bicolori, meno apprezzate, da quelle con 100% di sovraccolore rosso, oggi accreditate di maggiore “appeal” verso i consumatori.

3. Linea raccolta matura (ready to eat – pronta da mangiare, ready to ripen – pronta da raccogliere, con esaltazione dei sapori e degli aromi): in tal caso si tratta non tanto di specifiche varietà, quanto di protocolli di produzione e raccolta differenziati e pensati, a prescindere dalle cultivar, per segmenti di mercato non distanti e che apprezzano i prodotti “premium”, disposti a pagarli di più. In genere si tratta di frutti raccolti a maturazione avviata e quindi più dolci e aromatici, che necessitano di una logistica tale da assicurare il passaggio dal campo alla tavola entro le 24 ore.

4. Linea vecchi sapori: si può affiancare alla precedente come “target” e vuole rappresentare i tentativi, ormai numerosi, di valorizzare e riportare sul mercato (quello interno) cultivar dell’antico germoplasma con particolari ed elevati standard organolettici.

Una scelta coraggiosa e cosciente per evitare ulteriori perdite per la filiera peschicola.

L’auspicio è che prevalga il coraggio di scegliere strade dall’apparenza più impervie solo perché c’è un forte gap organizzativo della filiera produttiva da colmare, con una discrasia tra i mondi della produzione e della commercializzazione.

Un percorso che invece può premiare la peschicoltura made in Italy, ricollocandola su posizioni di maggior considerazione e competitività per il rispetto rivolto al consumatore.

 

A cura di Agrimeca Grape & Fruit Consulting

Data di pubblicazione: 01/10/2022